Perché abbiamo bisogno di un governo politico

| Paolo Brescia | 

L'esito elettorale del 4 marzo ci ha consegnato, lo si sente ripetere da un mese, un paese frammentato, unito solo da un sentimento di disordine che però contiene- eccome-dei messaggi di una forte nettezza. 


Il primo macro messaggio viene da come si è concentrato il voto: le consultazioni hanno detto che a votare vanno i giovani e i vecchi. Una fascia importante di popolazione "mediana" sceglie di non andare al voto. Rabbia? forse sì, forse disaffezione. Quella generazione che ha vissuto con in casa genitori sessantottini non partecipa "in massa" alle decisioni del proprio paese, al futuro della propria nazione. 

Il secondo messaggio generale di disordine è portato dalla distribuzione del voto. Il nord prosegue la sua virata a destra ma è disorganico, non vota più liberale ma post-ideologicamente sceglie Lega, quella Lega che il nord lo ha, appunto post-ideologicamente- rinnegato. IL centro si affida alle forze moderate ove reggono le amministrazioni centriste, ma per il resto si affaccia nell'universo pentastellato che è un mondo disordinato perché, per quanto si pronunci slegato dal partitismo, è la costellazione politica più intrisa di giochi partitici che ci sia. Dunque, altra fase di disordine. Il sud, infine, si consegna pienamente nelle mani degli uomini di Grillo, e anche qui lo fa associando un sentimento disorganico di reazione. 

Ma qual è il concetto che emerge da questo doppio messaggio, quello della concentrazione e della distribuzione? Destre e sinistre hanno fallito? La vita del paese ha preso una piega incontrollata? In realtà, la situazione si potrebbe spiegare con una semplice analisi degli ultimi 5-7 anni di storia politica. Il nostro paese non ha avuto governi di natura e colore politico, ma è stato dominato dalla convinzione che fosse necessario affidare al tecnicismo senza colori il percorso di riforma. La crisi che ci ha colpito è stata forse più di ogni altra volta e che in ogni altra nazione una crisi delle ideologie di partito, che ha lasciato il paese senza appartenenze. Ecco perché quando si va al voto a uscirne è sempre un paese incontrollato, ecco perché quando le consultazioni iniziano, a paventarsi è sempre una strategia di accordo (per fare qualcosa, le riforme, la legge elettorale, le "cose da fare", le azioni, ecc...). 

Accordi tra partiti che si congiungono su proposizioni che sono promesse con gli elettori (abbasseremo le tasse, abbatteremo la povertà) ma mai ideali di valore (un partito che dica crediamo nella giustizia o nell'onore oggi è anti-storico probabilmente). Dai colloqui col presidente un governo forse uscirà, e per fine aprile vedremo al tavolo dei ministri una squadra, cui faranno seguito azioni. Ma è difficile che avremo la possibilità di vedere nascere un governo politico. Solo pochi mesi fa in un incontro pubblico il presidente del parlamento europeo Tajani avvertiva: "recuperare la voglia e la consapevolezza di fare politica da politici, senza timore di essere ideologici sarà vitale". Il paese è senza vitalità: traiamo le dovute conclusioni, e la ricetta, forse, si inizierà a delineare.

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