Brexit, non ci "remain" che piangere?


di Paolo Brescia

Risultati immagini per brexitSi avvera la Brexit. La Gran Bretagna è fuori dall'UE. Sì, anche rileggendo la frase, nonostante sia primo mattino del venerdì, appare chiaro il concetto. Chiaro, ma tutto ancora da scoprire. Ora che facciamo? Che ripercussione, per noi, per l'economia mondiale, per gli inglesi e per gli altri popoli legati alla corona?

Il 52% della popolazione ha scelto, con punte del 61% a Sunderland, ma col remain assolutamente in testa in Scozia (quella Scozia che al voto indipendente si vide infliggere una sconfitta), Gibilterra e Irlanda del Nord.

Un paese spaccato, un popolo diviso che ora deve affrontare una delle fasi più critiche della sua storia. Perché, tutto questo? Perché non ricercare la soluzione più equilibrata, più consona alla già particolare situazione inglese? La politica europea, ecco una grande motivazione del disastro, si è allontanata dalla realtà dei cittadini, ha perso il suo ruolo di "madre", di guida sicura sul cammino dei popoli. La comunità di mutuo aiuto è divenuta federazione di banche, unione di tasse e fardello sui conti degli stati. Chi sosteneva il remain lo faceva per interesse, non per ideologico europeismo, quel sentimento di sentirsi parte di una grande famiglia, che- ad oggi- in UE non ha più nessuno. Questo, in onestà, ha pesato sull'esito del voto. L'UE rifletta, perché oggi la Brexit apre scenari assurdi, è la soluzione peggiore, è il dramma: ma l'UK ha scelto, e un motivo ci dovrà pur essere. In un paese in cui arde la fiammella dei populismi ma in cui governa un saldo (oggi, no) establishment conservatore il popolo si divide facendo prevalere la soluzione che apre la crisi.

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Con l'addio UK si apre la fine dell'UE come l'abbiamo pensata fino ad oggi.

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