Livia Turco: l'utero in affitto? Per carità, un figlio non è un rene!

da Acqua e Sapone di marzo '16

Ex ministro, parlamentare, ma soprattutto donna da sempre impegnata nelle battaglie dei diritti civili, soprattutto per quanto riguarda il mondo femminile, Livia Turco ha sempre preso posizioni forti. Da quando cominciò nel PCI fino ad ora, in quel PD che sull'utero in affitto si sta dividendo. Forse anche per idee poco chiare su un mondo moderno che pone interrogativi diversi dal passato e temi etici estremamente complessi. Questa pasionaria cuneese, pe
rò, non ha dubbi. E a noi dice la sua.

Andiamo subito al punto. Lei ha definito la pratica dell'utero in affitto abominevole.

«Attraverso tante battaglie con e per le donne, ho imparato che la maternità non è solo un'esperienza biologica, ma una fortissima esperienza umana, una relazione profonda che si instaura con il bambino fin da prima della nascita. E l'utero in affitto, che nella stragrande maggioranza dei casi è sinonimo di sfruttamento - parlano tutti dell'America e del Canada, ma solo perché non è comodo raccontare di che affari girino attorno a questo fenomeno in paesi come India e Ucraina -, rappresenta una grave ferita, un arretramento netto nelle lotte per i diritti della donna. Le dirò, non capisco neanche il dono, anche se puoi permettertelo. Un figlio non è un rene, nel grembo materno si costruisce un rapporto umano».

Ma il divieto, come per le droghe leggere, non rischia di rendere ancora più redditizio questo sfruttamento? Soprattutto perché ciò che è proibito in Italia, è permesso altrove.
«Certo, è per questo che io non credo nell'efficacia delle misure legislative e penali, in questa materia, ma credo che vada fatta una profonda e rigorosa battaglia culturale, e che sia fatta a livello europeo. Bisogna parlare alle coscienze, altrimenti tutti cercheranno le scorciatoie del raggiro. Non pensavo che questa pratica fosse così diffusa, tra etero e omosessuali».

Rimane il fatto però che il divieto accresce i "prezzi" degli uteri in affitto. Non c'è il rischio che l'unico limite che si porrà sarà quello della classe sociale?
«Non pensiamo al nostro piccolo mondo privilegiato, ma a chi deve usare la gravidanza per combattere la povertà. Io, con molte altre, voglio che arrivi l'Onu a pronunciarsi sullo sfruttamento e l'umiliazione delle donne e della maternità. Abbiamo passato secoli a uscire dall'idea del corpo femminile come un contenitore e ci ripiombiamo così. No, non riesco ad accettare qualcosa del genere, la libertà e i diritti non sono tutto, ci sono anche la dignità e la responsabilità, i figli non si mettono al mondo per il nostro godimento ma per crescerli al meglio, per dar loro un mondo decente. In cui chi li genera non venga usato, ma rispettato. Abbiamo leggi mature nella nostra bellissima Costituzione che così rischiamo di snaturare e banalizzare».

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